16/05/2014 -
<< Ma Davids allora? Lui pur giocava...>> Frasi simili non è difficile sentirsele dire se si è arbitri e, al momento dell'appello in spogliatoio, si invita un giocatore a togliersi gli occhiali sportivi. E serve a poco dire ad allenatore e dirigenti che lo proibisce il regolamento, vietando di indossare qualsiasi cosa che non sia necessaria alla gara. Tutti protestano, dicono che è un'ingiustizia non poter scendere in campo solamente perché si ha problemi di vista.
In Serie A pur lasciano giocare con quegli occhialoni giganti, e uno degli esempi più famosi è sicuramente il centrocampista olandese Davids della Juventus, perchè allora nelle categorie minori no? Sembra quasi che la colpa sia dell'arbitro stesso, e molte volte il pensiero di chi protesta è proprio quello, che ha “smania” di protagonismo. Per cui si chiama velocemente l'Aia per chiedere una delucidazione, ma al telefono la risposta è ambigua. È a discrezione del direttore di gara, dicono dall'altra parte della “cornetta”, e lui ha deciso che con gli occhiali, sportivi o meno, non si gioca.
Non importa se ci sono
deleghe di medici,
genitori, neanche se fosse del
Presidente della Repubblica in persona. Le responsabilità, nel caso il giocatore si facesse male o lo facesse, anche involontariamente, a qualcun altro ricadrebbero tutte sull'uomo con il fischietto. Il che vuol dire causa giudiziaria, condanna (ha deciso lui di prendersi la responsabilità) e pagamento di cifre astronomiche a chi si è fatto male.
Allenatori e
dirigenti vanno a sedersi in panchina visibilmente contrariati e il cattivo è sempre l'arbitro.
La regola dell'
abbigliamento in campo è una di quelle che troppo spesso vengono ignorate o lasciate in secondo piano. E non riguarda soltanto gli occhialoni, ma anche molti altri oggetti che potrebbero rivelarsi fatali in caso di violenti scontri tra giocatori. Ad esempio gli
orecchini o gli
anelli, che nella massima serie a volte vengono semplicemente coperti con dello scotch, come se fosse un mantello dell'invisibilità che rende “immateriale” ciò che nasconde.
Ma bastano pochi istanti e quei monili così innocui, la cui assenza per alcuni giocatori sembra una violazione dei diritti umani, possono diventare vere e proprie “armi” per chi li porta e gli altri in campo. Ovviamente, se si tratta di casi estremi come la fede che è incastrata nel dito di un amatore, si può anche passare avanti ma non quando si va ad arbitrare partite dagli juniores in su. Perché non è tanto la violazione della regola in sé ad essere pericolosa, dato che ormai ci sono così tante variabili che quella è diventata relativa, quanto il rischio concreto che qualcuno si faccia male sul campo da gioco. Anche seriamente. I casi non mancano, e a farne le spese sono stati i direttori di gara che hanno lasciato giocare nonostante tutto.
Sarebbe bello che giocatori e dirigenti capissero che in campo si va per giocare e divertirsi, non agghindati con collanine o braccialetti oggettivamente inutili. Ci si veste di passione e grinta in campo, arbitri compresi. E il rispetto per gli altri è la cosa più importante da indossare. Sempre.